“ In qualità di scrittori, viaggiamo per altri mondi non come semplici sognatori, ma come sciamani con il potere magico di trattenerli e di riportarli in forme di storie da condividere. I nostri racconti hanno il potere di guarire, di rinnovare il mondo, di offrire metafore per comprendere meglio la vita”. E’ così che nel suo Viaggio dell’eroe, Christopher Vogler, definisce la missione dello scrittore ed è nello stesso modo che, anch’io, ho sempre inteso il lavoro dello sceneggiatore. Una grande responsabilità. Reinterpretare la vita, offrire altri punti di vista, guarire.
In un certo senso la scrittura, infatti, ha innanzitutto guarito me strappandomi ad una vita che non era la mia. Una vita che ho condotto fino a trent’anni quando la passione per la sceneggiatura mi ha spinto a lasciare il mio lavoro sicuro e a trasferirmi a Roma. Dopo aver partecipato ad un master in RAI sulla scrittura cinematografica e televisiva, il sogno ha cominciato a prendere forma nella realtà.
L’esordio cinematografico nel 2014 firmando la sceneggiatura del film “Anita B.” con la regia di Roberto Faenza. Ricordo che ero poco più che adolescente quando, al cinema, mi innamorai del suo “Prendimi l’anima”. Quella sera stessa, a fine film promisi a me stessa che un giorno avrei scritto per lui. E quando Roberto mi propose di lavorare sull’adattamento del romanzo “Quanta stella c’è nel cielo” di Edith Bruck, mi tremarono le gambe. La prima pagina di soggetto fu tutta un tormento. Non ero ebrea, non avevo mai approfondito l’orrore dei campi di concentramento: come sarei riuscita a raccontare il dolore che la piccola Anita, sopravvissuta ai lager nazisti, si portava dentro? Mi lasciai guidare dal mio istinto. Mi suggerì di usare gli attacchi di panico, di cui avevo sofferto durante l’adolescenza, come guida per raccontare l’annientamento del proprio essere. Per una strana alchimia questa insolita equazione diede un buon risultato.
Avevo da poco ultimato il master in RAI e, prima che cominciassi a chiedermi cosa avrei fatto, uno dei docenti, Gino Ventriglia, editor di fama internazionale, mi propose un nuovo lavoro di scrittura. Ancora un adattamento. Si trattava di un racconto tratto dal libro di Valeria Parrella “Mosca più balena”. La protagonista, Guappetella, era una napoletana verace e passionaria. La sua forza, quasi animalesca, mi conquistò immediatamente. Rispetto ad Anita, giocavo in casa!
Ventriglia mi propose, subito dopo, un secondo nuovo lavoro. Dal cinema passai alla televisione. Da Anita e Guappetella, giovani e a loro modo forti, passai a Rex! Il commissario REX! Il pastore tedesco più cazzuto della storia dei cani! E insieme arrivò anche “Un posto al sole”. Per me, ossessiva compulsiva della sceneggiatura, scrivere per la tv era estremamente congeniale. Non “solo” novanta minuti di film ma ore e ore di puntate… Il primo amore, però, non si scorda mai e quindi, tra una puntata e l’altra, scrivevo comunque soggetti cinematografici. Alcune volte non portavano a molto. Altre mi hanno dato la possibilità di lavorare con grandi professionisti come Simona e Rosella Izzo. Di misurarmi con generi diversi: dalla commedia romantica al thriller. Di rapportarmi con produzioni non solo italiane. Ultimamente sto lavorando ad una serie sulla “Croce Rossa” con protagonista Raoul Bova. E’ una nuova esperienza, una realtà che non conoscevo ma che sto amando ogni giorno di più. Perché raccontare è anche questo, vivere mondi nuovi.
Al di la di tutto però, quel che conta è scrivere sempre! Ed è questo che ho, da subito, provato a trasmettere anche ai miei studenti. Quello che distingue uno scrittore da un non scrittore, è semplicemente che lo scrittore scrive!!! Bisogna scrivere otto ore al giorno, sempre. E’ un lavoro. Non è questione di ispirazione ma di applicazione. La pagina bianca non esiste e solo un inganno del colore. Un riflesso. Un gioco di luce.
L’insegnamento è una passione. Da quando sono diventata mamma, scelgo di lavorare solo a quello che davvero mi stimola. Insegnare è una missione. I ragazzi diventano un po’ figli miei e restano tali anche quando i corsi finiscono. Cerco di trasmettere loro non solo la teoria, la tecnica, le regole per creare uno script efficace ma, soprattutto, il rispetto per lo spettatore. A chi guarda le nostre storie stiamo offrendo un punto di vista, una alternativa, una visione del mondo e della vita. Come diceva Vogler. Non raccontiamo per soddisfare il nostro ego. Ma magari per alleviare un dolore, per realizzare il sogno di essere qualcun’altro o “semplicemente” per intrattenere. Nel raccontare bisogna tener presente che, in ogni caso, stiamo chiedendo di dedicarci del tempo, il bene più prezioso della vita!
Chi scrive deve essere curioso e mettersi alla prova. Per questo ho cercato di misurarmi anche con forme di racconto differenti dalla sceneggiatura. Ho lavorato come autrice di alcuni programmi televisivi come, per esempio, “Alta Infedeltà”, ho ideato format e ora, dopo aver pubblicato alcuni racconti, mi sto dedicando alla scrittura del mio primo romanzo. Conciliare il mio nuovo ruolo di mamma, con il lavoro sul libro, con l’insegnamento e con la scrittura dei nuovi progetti non è semplice. Sono sempre sull’orlo di una crisi di nervi, ma quando ami perdutamente quello che fai, niente è impossibile! O quasi…
Mancano all’appello solo le esperienze legate al mondo del documentario. Alcuni sull’arte, sull’architettura e altri sul mondo giovanile. Il documentario è un mondo a parte. Una grande opportunità creativa e non solo. Le regole del raccontare però, al di là del formato che si sceglie, sono sempre le stesse. L’imperativo unico per tutti: emozionare!